Il centro abitato di Molare fu risparmiato dal disastro, ma vennero colpite la centrale elettrica, alcune cascine, argini artificiali e i ponti, mentre nei paesi limitrofi, oltre ai danni materiali vi furono 111 morti e numerosi dispersi – i resti di alcuni di essi sarebbero stati trovati soltanto molti anni dopo -. La diga maggiore, di proprietà dell'ENEL è rimasta abbandonata da allora, come l'area circostante: più volte, negli anni, è stato proposto di riattivarla, ma ciò non è mai avvenuto. [Gallery] 1 / 6 Contatti: Leggi anche Lifestyle Con l'autoironia che la contraddistingue, Beatrice Vio ha postato una foto che la ritrae "a pezzi" dopo gli allenamenti. Dopo lo sciopero della fame, Sandra Milo si è incatenata difronte a Palazzo Chigi facendo un appello al premier Giuseppe Conte. La vicepresidente della Camera dei Deputati, secondo lo scoop lanciato da Dagospia, aspetterebbe un bambino: si tratterebbe di una femmina. Emma Marrone tornerà ad essere da castana a bionda? La cantante ha dato un annuncio ai fan di Instagram
18 di 22 Il crollo della diga portò la distruzione. Il Borgo di Ovada - Quando le acque si ritirano è evidente a tutti l'entità del disastro. 19 di 22 Il crollo della diga portò la distruzione. La linea ferroviaria per Alessandria - All'altezza di Rocca Grimalda le acque asportano la sede ferroviaria. Numerose le cascine allagate. 20 di 22 Il crollo della diga portò la distruzione. La distruzione del Ponte di Belforte - Il Torrente Stura anch'esso in piena non riesce a scaricare le sue acque nell'Orba. Si determina un'ondata di rigurgito che abbatte il Ponte per Belforte. 21 di 22 Il crollo della diga portò la distruzione. Il Re ad Ovada - Visita del Re Vittorio Emanuele III sui luoghi del disastro. E' il braccio destro di Mussolini, Starace, a presenziare ai funerali in Ovada. Il Duce non presenzierà. La sua figura non deve essere associata ad eventi luttuosi. Ai posteri facile sentenza. 22 di 22 Il crollo della diga portò la distruzione. I funerali - Oltre 40. 000 persone accompagnano le vittime di Ovada nel loro ultimo viaggio.
Il geologo genovese Vittorio Bonaria ha appena realizzato il libro "Storia della diga di Molare – Il Vajont dimenticato", edito da Erga Edizioni, 352 pagine, prezzo 25, 00 euro. L'opera racconta, con dovizia di particolari e numerose immagini, il disastro che il 13 Agosto 1935 si verificò nella Valle d'Orba, Piemonte sud-orientale, provincia di Alessandria. Un evento catastrofico importante, ma oggi dimenticato, e che Bonaria riporta magistralmente alla luce grazie ad una ricostruzione particolareggiata di prodromi, cause ed effetti. Tutti conoscono il Vajont e qualcuno ricorda il Gleno, ma molti hanno dimenticato la Val d'Orba. Questi tre eventi, in effetti, risultano simili nello sviluppo anche se differiscono sotto l'aspetto delle cause: una gigantesca ondata si riversò nella valle sottostante, partendo da un lago artificiale. Se nel Vajont fu un'enorme frana a provocare la catastrofe, per il Gleno gli studiosi ancora oggi rimangono dubbiosi nella valutazione della principale causa scatenante.
Per quanto attiene direttamente al crollo, la maggior parte delle poche trattazioni ipotizzano che la tracimazione e stramazzo dell'acqua al di sopra dello sbarramento, abbia portato all'erosione della sella e allo scalzamento al piede della fondazione. Negli anni '80 studi di geologia strutturale (Università di Genova) produssero un modello più convincente. La tracimazione dalla diga secondaria sicuramente determinò lo scalzamento della stessa ma non di certo lo "sradicamento" di una sella di altezza pari a circa 25 metri e l'ulteriore approfondimento dell'alveo fluviale di circa 15 m. Inoltre, a seguito di un successivo violento temporale (25 Agosto 1935) l'erosione accelerata determinò un ulteriore approfondimento dell'alveo di circa 20 m (Novarese, 1938). Ciò ebbe come causa la presenza di rocce molto scistose e fratturate che a contatto con l'acqua divenivano addirittura "saponose". Tra queste un orizzonte anfibolitico era strutturalmente posizionato parallelamente alla spinta idrostatica dell'acqua.
Non si riesce a svuotare il bacino, nonostante tutti i tentativi. La diga vista da valle. Il malfunzionamento degli sfiatatoi non consentì il corretto svuotamento dell'invaso Alle 13. 15 la diga secondaria collassa sotto un volume stimato di almeno 20 milioni di mc di acqua, fango e detriti. Un'immensa onda, alta una ventina di metri, si riversa nella valle sottostante, travolgendo boschi, cascine, persone, animali, sponde, ponti. La centrale elettrica è letteralmente distrutta, resistono soltanto le condotte di ghisa. Molare, la prima cittadina a valle della diga, fortunatamente posta su un'altura, una trentina di metri al di sopra dell'Orba, si salva: l'abitato non viene toccato dalla furia delle acque che travolgono invece il ponte della statale del Turchino, alto 15 metri, e quello della ferrovia. Dopo Molare, l'onda distrugge i borghi di Ghiaie, Monteggio, Geirino e Rebba. Abbatte diversi ponti, poi si getta su Ovada, che a quel tempo conta circa 10mila abitanti, quando sono passate da poco le ore 14.