Gi� aveva posto gli spiriti ad ornamento della regione superna; gi� aveva seminato di anime immortali i globi eterei e riempito di ogni genere di animali le impure e lercie parti del mondo inferiore. Ma compiuta la sua opera, l'artefice divino vide che mancava qualcuno che considerasse il significato di cos� tanto lavoro, ne amasse la bellezza, ne ammirasse la grandezza. Avendo, quindi, terminata la sua opera, pens� da ultimo - come attestano Mos� e Timeo- di produrre l'uomo. [... ] Ormai tutto era pieno, tutto era stato occupato negli ordini pi� alti, nei medii e negl'infimi. ] Stabil�, dunque, il sommo Artefice, dato che non poteva dargli nulla in proprio, che avesse in comune ci� che era stato dato in particolare ai singoli. Prese pertanto l'uomo, fattura priva di un'immagine precisa e, postolo in mezzo al mondo, cos� parl�: �Adamo, non ti diedi una stabile dimora, n� un'immagine propria, n� alcuna peculiare prerogativa, perch� tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volont� quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso.
Nello studio pavese resta tuttavia solo un anno e nei prima mesi del 1484 si stabilisce a Firenze. In questi anni Pico aveva già avuto modo di entrare in rapporto con la città toscana tramite contatti con due figure che risulteranno fondamentali per la formazione di Giovanni, vale a dire Marsilio Ficino e Angelo Poliziano. Egli aveva scritto infatti a Ficino per avere da questi una copia della Theologia platonica de immortalitate animorum e aveva altresì inviato nel 1483 ad Angelo Poliziano cinque libri delle proprie elegie latine, in merito alle quali riceve un giudizio piuttosto lusinghiero che non gli impedisce tuttavia di dare fuoco a quelle carte. A Firenze Pico può beneficiare degli influssi di un ambiente culturale straordinariamente ricco e animato, che peraltro si qualifica come il più vivo centro del platonismo che Giovanni può così al meglio comparare e confrontare con l'aristotelismo che aveva studiato a Padova. Al riguardo scrive: "In Platone trovo due cose. Un'omerica eloquenza che si eleva su ogni espressione prosaica e una somiglianza di pensiero con Aristotele, specie se il confronto viene fatto da un punto di vista più elevato.
Misantropia, la sua, che "ovviamente" portava anche al rifiuto del matrimonio:
Pensa - gli scriveva
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Pico visse questo * tipo di "celeste amore" con Girolamo Benivieni (1453-1542), anch'egli fervente cristiano e neoplatonico, che reciprocò i suoi ardori. Quanto possa essere costato a Pico sublimare i suoi istinti ce lo rivela comunque il superiore dell'Abbazia di Fiesole, Matteo Bossi, che in una lettera lodò come santo e virtuoso l'ossessivo controllo di sé del nostro, tale da spingerlo alla misantropia: " Quale santità di vita e pietà religiosa (... ), quale ardore verso le cose divine quale profumo di castità e di pudicizia. Egli aveva allontanato talmente il piede da ogni mollezza e tentazione della carne da sembrare che, al di là dei sensi e dell'ardore giovanile, vivesse una vita da angelo evitando i colloqui, lo sguardo, gli atteggiamenti da cui potesse sorgere il pericolo di desiderare o di essere desiderato (... ). Da lui ho udito una volta, con molta confidenza e amicizia, che possedeva il dominio contro le forze e i richiami della libidine in modo da non avere tentazioni più gravi di quelle di un fanciullo di sette anni " [3].