Insomma, Internet è un posto spaventoso per i bambini, e i genitori hanno già parecchio di cui preoccuparsi. Non c'è bisogno di aggiungere alla lista una donna-uccello-demone giapponese.
«Momo è morta» L'autore della scultura originale di Momo ha detto al The Sun che da un lato la viralità dell'immagine ha accresciuto la sua popolarità come artista, ma che dall'altro non era certo felice del modo in cui veniva utilizzata. Sopratutto, Keisuke Aso ha dettosi aver deciso di distruggere la scultura prima di venire a conoscenza della Momo Challenge. La statua infatti era diventata «troppo vecchia» e alcune parti, realizzate con cera e oli, si stavano deteriorando. L'unica cosa che è sopravvissuta di lei è un occhio, che l'artista intende riutilizzare per un'altra opera, come spiega nella video intervista del The Sun. Infine, Aso ha detto che «i bambini possono essere rassicurati Momo è morto: lei non esiste più e la maledizione è sparita ». Fine della storia, si spera. (credits immagine di copertina: Instagram)
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Anche l'emittente TV statunitense CBS47 ne parla, citando un articolo basato sul vuoto pneumatico. Ne parla anche Il Giornale (link intenzionalmente alterato, grazie a @martacagnola per la segnalazione), basandosi esclusivamente sull'"articolo" di Dagospia. Stessa fame disperata di psicosi su Il Messaggero (link intenzionalmente alterato), basata sempre sulla stessa singola storia non confermata. Tranquilli: Momo è e resta una bufala. Ditelo agli amici e ai figli e liquidate questi tentativi giornalistici di creare psicosi. Rideteci sopra insieme per neutralizzare Momo e i suoi sciacalli.
Guida minima a un allarmista fenomeno virale basato su quasi niente, come fu per "Blue Whale" La "Momo Challenge" è un fenomeno di internet che qualcuno considera una pericolosa sfida tra adolescenti, e che è soltanto una di quelle cose di internet che diventano qualcosa solo perché ne parla in modo più minaccioso e allarmista del necessario. In Italia se ne sta parlando poco, molto meno che nel Regno Unito e negli Stati Uniti, e potrebbe darsi che stiate per scoprire solo ora cos'è; col rischio che questo articolo diventi l'ennesimo che, nel parlare della "Momo Challenge" per dire che è una bufala, finisce comunque per parlare e far parlare della "Momo Challenge". La "Momo Challenge" (o il "Momo Game", come lo chiama qualcuno) è praticamente la stessa cosa di quello che due anni fa era stato " Blue Whale ": un fenomeno virale dalle origini incerte e dalla rapidissima crescita, che crea molto più panico del necessario. Funziona così: c'è un'immagine paurosa di una specie di donna-uccello.
Si può però ricostruirne la storia. Nel caso della "Momo Challenge" inizia tutto dall'immagine in questione, questa: Quella ritratta in foto è una scultura realizzata nel 2016 dall'artista giapponese Keisuka Aisawa, che lavora per la società di effetti speciali Link Factory, e che in quello stesso anno fu esposta in una galleria d'arte di Tokyo. La scultura è un particolare tipo di yōkai, figure spettrali e soprannaturali della mitologia giapponese. In particolare la scultura si ispira a un ubume, che il sito Nippop spiega essere la rappresentazione di «spiriti di donne morte di parto o durante la gravidanza». Il nome originale dell'opera – poi diventata nota come "Momo" – è "Madre uccello". Diversi giornali hanno scritto che è un'opera dell'artista Midori Hayashi: non è vero. Le prime foto della mostra girarono online nell'estate del 2018. Le prime tracce di una certa rilevanza si trovano in /r/creepy, un canale di Reddit dedicato a cose che fanno paura. Un utente pubblicò l'immagine il 10 luglio, ricevendo quasi mille commenti e cinquemila "voti" di approvazione in 48 ore.
Ma che cos'è, davvero, la Momo Challenge? Non sorprenderà nessuno scoprire che l'immagine di "Momo" non ha niente a che vedere con la Momo Challenge. Quella ragazza con gli occhi sporgenti, i capelli unti e i vestiti stracciati è una scultura che Keisuke Aisawa ha prodotto per Link Factory, una casa di produzione Giapponese che si occupa di effetti speciali per il cinema. La scultura è stata presentata nel 2016 alla Gen Gallery, una galleria nel distreggo di Ginza, a Tokyo. Con artigli simili a quelli di un'aquila, sembra che Momo sia ispirata a "ubume", uno yokai che rappresenta l'anima di una donna morta durante il parto. Le foto della statua sono diventate virali su Instagram e soprattutto sul subreddit r/creepy, dove hanno scatenato un flusso di migliaia di commenti e condivisioni. Le origini della challenge vera e propria, però, sono ancora un mistero: sembra che Momo si sia diffusa prima nei paesi di lingua spagnola, poi è arrivata in quelli anglofoni quando lo youtuber ReignBot ne ha parlato a luglio 2018.
Si racconta quindi che su internet (soprattutto su WhatsApp) ci siano utenti che usano quell'immagine sul loro profilo e contattano altri adolescenti per sfidarli a una serie di prove. Nessuno spiega in cosa consisterebbero queste prove, ma qualcuno dice che le più estreme potrebbero portare alla morte, in certi casi alla morte per un suicidio indotto. Come fu ai tempi per "Blue Whale", non ci sono casi confermati di persone morte per via del fenomeno. Nel caso della "Momo Challenge" ci sono tra l'altro pochissimi screenshot, che comunque dicono molto poco e potrebbero essere finti, di effettive conversazioni tra un utente che usa l'immagine in questione (ormai nota come "Momo") e assegna prove ad adolescenti. La cosa più pericolosa della "Momo Challenge" è quindi proprio la paura stessa della "Momo Challenge", che come prima conseguenza potrebbe far venire in mente a svariati emulatori di usare l'immagine di "Momo" per chissà quali scopi. Come quasi sempre per le cose virali di internet, è difficile dire perché qualcosa diventi quel che è e da dove arrivi il suo successo.
Di certo ha contribuito anche il fatto che Kim Kardashian abbia parlato della cosa in alcune Storie Instagram rivolte ai suoi 129 milioni di follower. Insomma: l'evoluzione della "Momo Challenge" è stata simile a molte altre cose virali. Si prende qualcosa e gli si dà qualche significato diverso dall'originale. Qualcuno ne parla e si inventa una storia. Qualcuno, magari, rende in parte vera quella storia (qualcuno, da qualche parte, avrà di certo usato l'immagine di Momo per dare qualche ordine, che qualcuno forse avrà eseguito). Qualcuno si spaventa e usa toni allarmistici, che fanno crescere la cosa, fino ad arrivare a Kim Kardashian e agli articoli sui giornali più importanti al mondo. In tutto ciò senza che esistano prove che qualcosa di grave sia davvero successo. Anche se applicate a internet e al 2019, le dinamiche sono quelle del panico morale: una forma collettiva di paura immotivata, basata su qualcosa che è percepito come una grande minaccia. Si parla di panico morale per la caccia alle streghe, ma anche per certe psicosi collettive, per esempio quella per i satanisti negli anni Ottanta e Novanta.