L'alleanza di governo è a rischio. Le elezioni regionali dividono il Pd e il Movimento 5 Stelle. Luigi Di Maio chiude la porta ai dem, Zingaretti avverte: "Alleanza unita sul futuro o non c'è". Il governo blinda la manovra ma l'alleanza tra Pd e Movimento 5 Stelle è a rischio. Il fronte aperto è quello della coalizione a livello regionale. La sconfitta in Umbria – e le polemiche all'interno del MoVimento – ha spinto Luigi Di Maioa fare un passo indietro. In Emilia Romagna e in Calabria i pentastellati dovrebbero correre da soli. Una decisione che ha incrinato i rapporti all'interno della maggioranza. Fonte foto: Pd e Movimento Cinque Stelle, alleanza a rischio Il Segretario del Pd Nicola Zingaretti ha lanciato una sorta di ultimatum facendo sapere agli alleati che l'alleanza non può essere azzerata a livello locale, altrimenti sarebbero inevitabili ripercussioni a livello nazionale. Tradottto, la maggioranza di governo sarebbe a rischio. fonte foto Di Maio: "Non ci sono i presupposti per un'alleanza strutturale" Immediata la risposta di Luigi Di Maio, che ha fatto sapere che non esistono i presupposti strutturali per proseguire con l'esperimento, rivelatosi fallimentare in Umbria. "
Di Maio, dal canto suo, rivendica la premiership e non sembra disposto a scendere a compromessi su questo punto: "Il premier deve essere espressione della volontà popolare: il 17 per cento degli italiani ha votato per Salvini premier, il 14 Tajani, il 4 Meloni, ma oltre il 32 per cento ha votato M5s e il sottoscritto come premier", ha dichiarato in un post pubblicato sul Blog delle stelle. Il leader pentastellato ha anche respinto l'ipotesi di un'alleanza che comprenda Forza Italia: "È una questione di credibilità della democrazia, se qualche leader politico ha intenzione di tornare al passato creando governi istituzionali tecnici, di scopo lo dica davanti al popolo italiano", ha sottolineato Di Maio, ricordando che per l'elezione di Fico alla presidenza della Camera, "sono mancati 60 voti di Forza Italia". Un muro contro muro quindi. Dal momento che Berlusconi non accetterà mai di farsi da parte per favorire un accordo, le possibilità che l'intesa tra leghisti e pentastellati salti sono assai concrete.
Questo significa forse che la maggioranza degli utenti non vuole allearsi? Propongo l' introduzione dell' imu sugli immobili della chiesa (esclusi gli edifici di culto) e di alleviare con il ricavato la pressione fiscale sul lavoro (abbiamo una tassazione record oltre il 50%). Restituire una percentuale delle imposte (20%? ) come premio alle imprese che assumono oltre un certo numero di persone a tempo indeterminato e che licenziano meno di un certo numero di impiegati per favorire l' occupazione. Abbolizione delle province. Cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia. Rinuncia automatica all' incarico parlamentare di chi è assente a oltre il 15%-20% delle votazioni in parlamento.
Dal quartier generale grillino si sprecano i tentativi per spingere Salvini a rompere con il suo socio di minoranza nella coalizione. Tuttavia, abbandonare Berlusconi avrebbe per Salvini un'evidente ricaduta negativa: se come leader della coalizione di centrodestra, infatti, il leghista vale il 37 per cento, senza Forza Italia (e magari anche Fratelli d'Italia), i suoi voti sono la metà di quelli del Movimento 5 Stelle. Venerdì 30 marzo Salvini ha ribadito che il centrodestra, al momento, non ha alcuna intenzione di disunirsi: "Sono pronto, la Lega è pronta. Il centrodestra, che ha vinto le elezioni, è pronto", ha detto il leader della Lega in vista del 4 aprile 2018, primo giorno delle consultazioni del presidente della Repubblica". "Sono pronto a incontrare tutti, a partire dai Cinque Stelle. Ovviamente si parte con il programma del centrodestra, e cioè l'abolizione della legge Fornero, abbassare le tasse e il blocco dell'immigrazione. Sulla base di questo programma sono pronto a ragionare con tutti, a partire dai Cinque stelle", ha dichiarato.
La Lega, inoltre, non ha escluso nuove aperture al Movimento e, intanto, anche alcuni esponenti pantastellati noti (come Davide Casaleggio) si sono detti più favorevoli ad un'alleanza con Salvini piuttosto che con il Pd. Alla luce di quanto esposto, dunque, non è difficile capire come mai i giochi sono ancora aperti e tutto – di fatto – potrebbe succedere da qui a martedì 27 agosto.
Fino a quel momento, il Movimento era obbligato per statuto a correre sempre da solo e senza alleati. Con la nascita del secondo governo Conte sostenuto da PD e Movimento 5 Stelle, in molti hanno subito iniziato a discutere di come trasportare l'alleanza parlamentare alle elezioni locali, anche a causa dell'alto numero di regioni che andrà a votare tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020 (tra le altre ci sono Toscana ed Emilia-Romagna) e del rischio che una sconfitta alle amministrative potesse condizionare il governo nazionale. In Umbria il voto è anticipato a quest'anno a causa dello scandalo nella sanità locale che ha portato alle dimissioni anticipate della presidente della regione PD, Catiuscia Marini. Anche se la spinta per formare alleanze proveniva soprattutto dal PD, mentre il Movimento 5 Stelle era più prudente, l'accordo è stato raggiunto senza grandi intoppi nel corso dell'ultima settimana. Venerdì, ancora prima di essere certi di aver trovato un nome comune per l'incarico, Di Maio ha sottoposto l'ipotesi di alleanza agli iscritti alla piattaforma Rousseau, con un quesito estremamente generico: «Sei d'accordo con la proposta avanzata dal capo politico del "patto civico per l'Umbria", sostenendo alle elezioni regionali un candidato presidente civico, con il sostegno di altre forze politiche?
L'ipotesi di un' alleanza tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico si fa sempre più concreta, la strada per trovare un accordo comune, tuttavia, sembra essere ancora in salita. Da quando Matteo Salvini ha presentato (e poi ritirato) la mozione di sfiducia al Governo Conte, Luigi Di Maio, in rappresentanza del M5s, si è detto intenzionato a non scendere più a compromessi con la Lega. Il Ministro del Lavoro, dunque, ha chiuso ogni possibilità di "riappacificazione" con l'ormai ex alleato, ed ha iniziato a guardarsi intorno. Di Maio, dopo aver escluso inizialmente un alleanza con il Pd, ha poi fatto sapere agli elettori di stare valutando la possibilità di un Governo giallo – rosso. Partito Democratico e Cinquestelle sembrano avere una visione comune su molte cose, quindi diverse sarebbero le riforme che – insieme – porterebbero avanti in caso di alleanza. Se da un lato però vi sono dei principi che uniscono i due partiti, dall'altro, ancora oggi, persistono dei punti di contrasto che potrebbero far saltare ogni possibile accordo.
Pare che il primo a dare il via libero sia stato Beppe Grillo, fondatore del Movimento 5 Stelle, ma bisogna prima attendere quanto dirà Giuseppe Conte in Senato. Nonostante ciò, nell'incontro sono emerse sensibilità e pareri diversi. Ad ora il più prudente è Luigi Di Maio, il quale sa, che in caso di questa nuova maggioranza, ci sarà una nuova squadra cambiata nel suo assetto del quale lui potrebbe anche non far più parte. Di Battista invece sarebbe quello che spinge principalmente per un ritorno alle elezioni più rapidamente possibile perché non vorrebbe sedersi al tavolo dei nemici storici del Partito Democratico. Davide Casaleggio, figlio del cofondatore, segue la linea di Grillo. Il 'tradimento' di Salvini è per lui imperdonabile e nei giorni scorsi infatti lo aveva attaccato pesantemente. Fondamentale in queste ore anche il ruolo di Fico. Il presidente della Camera ci tiene a rimanere il più istituzionale possibile e preservare la sua posizione super partes, ma è anche il grillino che ha i rapporti migliori con il Pd.
Anche Dario Franceschini, che controlla un buon numero di parlamentari, sembra essersi convinto della necessità di aprire un dialogo su alcune proposte. Ciò potrebbe tradursi in un appoggio esterno del Pd a un governo di minoranza M5s, che approvi 4-5 leggi per poi tornare al voto in tempi abbastanza brevi, ma non subito. In questo modo il Pd darebbe una bella spolverata alla propria immagine e potrebbe proporsi con maggiori credenziali al suo bacino di elettori di sinistra. Il primo punto su cui convergere sarebbe un reddito di inclusione rafforzato: non un vero e proprio reddito di cittadinanza, come proposto dai grillini in campagna elettorale, ma uno strumento comunque sostanzioso di contrasto alla povertà Inoltre, pentastellati e dem potrebbero convergere su alcune misure di contrasto alla disoccupazione giovanile, sul taglio dell'Irap e su provvedimenti di rilancio per il Mezzogiorno. Come riportato venerdì 30 marzo dal quotidiano La Stampa, nel Movimento 5 Stelle si sta già ragionando su questo scenario.